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Lo scorso autunno, dopo un’estate particolarmente complicata e infelice, sono andata in vacanza con una delle mie migliori amiche in Georgia (non lo stato degli USA, come ho dovuto specificare ennemila volte a quelli che mi chiedevano dove fossi stata).

Due amiche a Tbilisi

Dieci giorni in giro per le diverse regioni dell’ex repubblica confederata dell’Unione Sovietica, oggi repubblica indipendente che segna il confine tra Europa e Asia, con un autista che tecnicamente doveva guidarci alla scoperta del patrimonio enogastronomico locale e qualche giorno – all’inizio e alla fine del viaggio – da sole nella capitale Tbilisi.
Ci abbiamo messo dieci giorni solo per capire come pronunciare correttamente il suo nome: non è Tibilisi, come verrebbe spontaneo dire, ma nemmeno t-bilisi; è qualcosa di più simile a un blisi con un dubbio iniziale, o almeno a me così è sembrato.

Insomma, perché a due giovani donne dovrebbe venire in mente di andare a passare dieci giorni di vacanza in un Paese dove il codice della strada è un’utopia, si fuma ancora nei locali (e dappertutto) e i tassisti hanno particolare difficoltà a capire dove tu voglia andare, lasciandoti più di una volta dal lato opposto di una città tentacolare come Tbilisi?

Tbilisi, dove è nato il vino

Be’, intanto perché è il luogo dove è nato il vino – qui sono state scoperte le viti più antiche, e da poco anche le più resistenti al mondo, e qui è nata la tradizione del vino fermentato in anfora, o kvevri, che oggi va tanto di moda anche da noi.
Qui c’è una cultura gastronomica varia e interessante quasi quanto quella italiana, con specialità regionali e abbondanza di carboidrati e formaggi (troppa abbondanza, ma questa è un’altra storia).

Poi, la verità è che io sognavo da anni di andare in Armenia e Uzbekistan ma quando l’ho detto alla mia amica mi ha guardato come se fossi matta. Allora abbiamo guardato la cartina e abbiamo concordato per Georgia e Armenia ma quando lei – che è cuoca e pasticcera – ha iniziato a leggere cose sulla gastronomia georgiana e abbiamo stabilito di non aver voglia di passare più tempo in macchina che a esplorare posti e locali, la scelta è ricaduta sulla sola Georgia.

Dunque, sul Paese mi ero documentata e le aspettative in parte sono state di gran lunga superate – per la bellezza della natura e delle chiese ortodosse, per la bontà del cibo e, in alcuni casi, per la gentilezza delle persone – in parte deluse, a cominciare dalla difficoltà di fare delle visite in cantina che potessero essere definite tali (forse perché eravamo due donne?).
Ma anche perché la nostra “guida” era astemia e non sapeva nulla di vino, né di cibo o storia. Però aveva una gran bella 4X4 con cui ci ha portato ovunque.

Su Tbilisi, invece, non avevo grandi aspettative. Mi era stato detto che era una città non particolarmente bella ma con alcuni monumenti da vedere assolutamente, come la grande statua della Madre Georgia (Kartlis Deda), in cima alla collina di Sololaki, e la Cattedrale della Santissima Trinità (anche se la vera meraviglia è quella di Svetitskhoveli a Mtskheta, poco fuori dalla città).

Cosa mangiare a Tbilisi

E avevo un indirizzo per la cena, quello di Barbarestan, a quanto pare l’unico ristorante – ma forse le cose stanno cambiando, adesso – che proponesse una cucina un po’ diversa dalle ricette tipiche, buonissime ma un po’ pesanti, come il lobio (stufato di fagioli, erbe e spezie), i khinkali (ravioloni di carne o patate da mangiare succhiandone prima il brodo all’interno), le melanzane ripiene di pasta di noci, il chakapuli (saporito stufato di agnello) o l’immancabile khachapuri, una sorta di “pizza” al formaggio che prende sembianze diverse a seconda della zona.
Da Barbarestan, invece, lo chef Levan Kobiashvili attualizza le antiche ricette tratte dal libro ottocentesco della Duchessa Barbare Jorjadze, come la buonissima zuppa di corniole o la trota di montagna farcita con noci e dragoncello. Se poi ci si va in dolce compagnia, l’atmosfera romanticamente retrò è davvero perfetta; noi abbiamo bevuto parecchio e ci è andata bene lo stesso.

Il primo impatto con la città, a essere sincera, non è stato un granché. L’autista ci è venuto a prendere in aeroporto a tarda sera e ci ha portato all’indirizzo dell’appartamento preso su Airbnb: un palazzone scalcinato di almeno 20 piani, in un quartiere un po’ periferico dall’aspetto poco rassicurante (ma in realtà molto tranquillo ) con un ascensore che a ogni piano sembrava dovesse fermarsi o, peggio, cascare giù. Indovinate noi a che piano stavamo?

Cosa vedere a Tbilisi

Poi le cose sono migliorate: l’appartamento era perfetto, abbiamo capito come muoverci abbastanza facilmente con i mezzi o i taxi (quando ci capivano) e la padrona di casa ci ha portato la colazione a base di uova, formaggio e khachapuri, che qui si mangia praticamente a ogni ora del giorno.

Abbiamo approfittato del poco tempo che avevamo a disposizione per fare un giro nella zona più centrale e turistica della città perlustrando le stradine intorno ad Erekle II Street, e abbiamo iniziato a capire che Tbilisi è una città con più anime.
Non so dire quale sia la più autentica, né la migliore.

  • La zona di Erekle è piena di ristorantini e negozietti ed è perfetta per fare delle belle passeggiate pomeridiane e serali, magari anche fermandosi a vedere – se si riesce a prenotare un biglietto – uno dei suggestivi spettacoli di marionette del Rezo Gabriadze Theatre, nella pittoresca piazza dell’Orologio, o a bere un bicchiere di vino – rigorosamente kvevri – da G.vino , una piccola enoteca con cucina che è il punto di riferimento enologico in città, o una rinfrescante “lemonade”, bevanda a base di acqua o gazzosa, succo di limone e dragoncello pestato.

 

  • Il Dezerter Bazar è un mercato enorme e dispersivo dove si può trovare di tutto – inclusa la buonissima salsa tkemali, a base di prugne acide in diverse versioni (io preferisco la verde) che accompagna ogni pietanza georgiana – e che vale assolutamente una visita, anche se se ne potrebbe uscire un po’ esasperati.

 

  • La zona dei musei – come la National Gallery che ospita le opere del pittore primitivista Niko Pirosmani – lungo Rustaveli Street ha un’aria decisamente europea, come pure quella (che era effettivamente abitata da Europei) nei dintorni di Marjanishvili Square (dove abbiamo alloggiato per qualche giorno dopo il tour, in un bellissimo appartamento di una giovane georgiana che si occupa di cinema e fotografia, trovato sempre su Airbnb) dove non mancano pasticcerie eleganti, negozi interessanti e il centro multiculturale Fabrika, ex capannone industrial che ospita un ostello di design, negozi e attività culturali.

  • Ma le zone che ho amato di più sono altre due: da un lato le viuzze dell’Old Town, patrimonio Unesco, con le antiche case “comunitarie” tutte affacciate su un unico cortile interno e le balconate di legno intarsiato, che abbiamo scoperto grazie a un’interessante visita guidata con i ragazzi del Tbilisi Free Walking Tour; dall’altro, la zona pedonale a ridosso di Marjanishvili, con la graziosa Davit Aghmashenebeli Avenue piena di negozi, bar e ristoranti dove ho perfino fatto shopping comprando un abito dello stilista Lasha Jokhadze a un prezzo decisamente abbordabile, anche grazie al cambio favorevole.

Tornerei a Tbilisi? Diciamo che non è in cima ai miei desideri ma se dovesse capitare – magari in occasione della Tbilisoba, la festa del vino che si tiene ogni anno a fine ottobre – mi farebbe piacere passarci qualche altro giorno. Sono sicura che scoprirei ancora qualcosa di nuovo.

 

Autore

Luciana Squadrilli
Luciana Squadrilli
Giornalista professionista, napoletana, ha iniziato a scrivere di cibo e viaggi dopo gli studi in marketing e comunicazione. Oggi collabora come free lance con guide e testate italiane e straniere, scrivendo soprattutto di ristoranti, pizza, olio extravergine e di Italia in generale per l'estero.
Ph Patrizia Corriero