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Per le nostre guide abbiamo voluto autori che non solo amino mangiare bene, che non solo sappiano dove si trova il cappuccino più cremoso della loro città o la pasticceria che sforna i croissant più fragranti.

Abbiamo scelto autori che sappiano anche descrivere questi cappuccini e questi croissant coinvolgendo i sensi del lettore, suscitando ricordi, dipingendo fantasie e creando aspettative golose. I nostri autori sono tutti foodwriter.

Quindi vi chiederete: chi sono i food writer?

Allarghiamo allora la domanda a cosa sia il food writing. Noi lo chiamiamo food writing, scrittura di cibo, o scrittura sul cibo, perché in Italia non ha ancora un nome, una definizione che riesca a coglierne tutte le molteplici sfumature.
Mettetevi nei nostri panni quando abbiamo provato a spiegarlo alla nonna, ci siamo trovati in difficoltà ancor più di quando le abbiamo spiegato che eravamo blogger.

Il food writer può essere infatti un foodblogger, un autore di libri di cucina (o di guide gastronomiche, nel nostro caso), un consulente per la stesura di menu o ricette, un critico gastronomico, o semplicemente qualcuno che scrive recensioni a tempo perso. Può scrivere articoli per giornali, riviste e siti web.
Il food writing si applica ai blog, alla storia, alle ricette, alla politica, all’economia, all’agricoltura, alla ristorazione, alle notizie di attualità, ai saggi, ai romanzi autobiografici e ai memoir, ai racconti di viaggio, alla scienza.

Ciò che accomuna tutte queste figure, il filo rosso che unisce tutti questi ambiti, è il raccontare una storia e il farlo attraverso una prospettiva particolare, quella del cibo: assaporato, scoperto, cucinato, condiviso, offerto.

Quando nasce il food writing come lo conosciamo noi?

Quando il food writing sia nato di preciso, e dove, non si sa. Non vogliamo spingerci tanto indietro da nominare Apicius e il suo De Re Coquinaria, ma possiamo sicuramente citare due autori francesi, Jean-Anthelme Brillat-Savarin con La fisiologia del gusto e Alexandre Dumas con il suo Grande Dizionario di Cucina, che usarono il cibo come prospettiva unica attraverso cui raccontare una storia.

È però il Novecento il secolo che ha visto la nascita del food writing come lo intendiamo oggi e l’inglese la lingua attraverso la quale si è quasi sempre espresso, con l’americana M.F.K. Fisher e la britannica Elizabeth David come due degli esempi più illustri.
Sono donne, scrittrici, viaggiatrici, hanno portato la scrittura di cibo al rango di letteratura, hanno trasmesso un senso del luogo potente, hanno usato le parole scritte per dipingere mondi a volte lontani per i loro lettori, restituendoli però con colori vividi, profumi intensi, sapori ben distinguibili che presto diventano ricordi condivisi.

Anche se non siete mai stati in Provenza, leggere uno dei libri di Elizabeth David vi farà scoprire i mercati che la mattina si riempiono di gente, con cataste di meloni dolcissimi e mazzi balsamici di basilico, vi farà pranzare in una trattoria accanto a un fiume, con il cameriere che trafuga per voi un pezzo di formaggio e un po’ di pane fresco dalla cucina. Quei libri non avevano foto, ma già alla seconda pagina vi rendete conto che non ne avete bisogno per immaginarvi la consistenza di un risotto o la vivacità di un mercato cittadino.

A loro sono seguiti altri nomi fondamentali per il food writing come Jane Grigson, Laurie Colwin, Ruth Reichl, Calvin Trillin, Claudia Roden, fino a esempi più contemporanei come Nigella Lawson, Anthony Bourdain, Nigel Slater o Bee Wilson.

E l’Italia?

In Italia abbiamo avuto Pellegrino Artusi e Ada Boni, più di recente Clara Sereni, ma rimangono esempi isolati. In Italia, dove il cibo è un affare quotidiano, per anni l’abbiamo dato quasi per scontato, non ne abbiamo mai scritto con quella curiosità e con lo sguardo fresco di chi lo scopre per la prima volta, non l’abbiamo mai considerato degno di diventare letteratura.
La trasmissione del sapere culinario si è sempre basata su una tradizione orale, sugli appunti a margine nei ricettari di famiglia scritti con una calligrafia pulita, come si imparava a scuola prima della guerra, sulle chiacchiere informali di una domenica mattina in cucina.

Per fortuna, però, le cose stanno cambiando. Prima i blogger che hanno deciso di andare oltre alla scrittura di una semplice ricetta come elenco di istruzioni e ingredienti, poi riviste come Dispensa e scrittori che hanno scelto il cibo come chiave di lettura di una storia hanno portato l’attenzione al food writing, alla scrittura di cibo, anche nel nostro paese.

I nostri food writer

Noi abbiamo scelto i food writer più bravi per scrivere le guide gastronomiche delle città, confidando nella loro capacità di raccontare una storia, di coinvolgere il lettore con le parole, tanto da fargli sentire quello che si prova quando un gianduiotto vi si scioglie in bocca o quando un piatto di cacio e pepe vi viene servito ancora fumante dalla cucina.
Abbiamo allora chiesto agli autori delle nostre tre prossime guide in uscita a dicembre cosa fosse per loro il food writing, e queste sono le loro risposte.

Fabrizio Roych, autore della guida di Copenaghen

Scrivo di cibo per raccontare le occasioni di arricchimento e di piacere che sono già dentro, in potenza, la visita a un mercato, la cena in ristorante, la scoperta di un ingrediente o di un prodotto. Quante volte cerchiamo le parole per esprimere un giudizio, e per dare una descrizione che sorregga il ricordo di un piatto appena consumato? Perché quel dolce era incredibile mangiato sul posto, e solo buonissimo mangiato a casa? Scrivere di cibo contiene anche queste responsabilità, sul ricordo, sulle occasioni perdute, sull’anima profonda con cui un territorio, a casa o agli antipodi, esprime la propria socialità e la propria identità.

Valentina Danielli, autrice della guida di Firenze

Scrivo e parlo di cibo, non solo perché mi piace, ma perché lo ritengo un tassello importante della cultura di un luogo. Un vino, un pane, un piatto di pasta non sono mai solo cibo: sono la somma della passione, della storia e della cultura di chi li ha fatti. Il cibo per me è l’esperienza olfattiva e degustativa di un luogo.

Rossella Di Bidino, autrice della guida di Roma

Per me le preposizioni contano, soprattutto quando si viaggia. Scrivo col cibo, accanto. Il protagonista rimane il viaggiatore, che punta a Roma non per una Cacio e Pepe, ma per il Cupolone. Però, mi piace solleticarlo affinché arrivi alla pizza di Bonci ed un po’ stupirlo se poi gli (o le) dico che i romani impazziscono per un Filettaro. È un giocare assieme tra puntarelle e code alla vaccinara. La Capitale ha mille volti, che meritano di essere scoperti, prima di scartarne qualcuno.

E voi, qual è il vostro foodwriter preferito?

 

Autore

Noi di WithGusto
Noi di WithGusto
Ciao, siamo Mariachiara, Giulia e Tommaso: facciamo guide e consigli pratici da consultare per chi ha fame di cose buone a tutte le ore, per godere del viaggio in ogni momento.