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Decine di migliaia di olive, perfettamente impilate nella loro lucidità.
Olive nere, olive rosse, olive verdi, olive al curry, olive con prezzemolo, coriandolo e pepe rosso. Man mano che vicolo dopo vicolo, hijab dopo hijab, gatto dopo gatto, ci si avvicina al Souk Ableuh – il souk delle olive – l’odore si fa sempre più travolgente. Sempre più familiare.
È questo, il mio primo ricordo gastro-sensoriale legato a Marrakech.

Hadj Mustapha e la tanjia dell’amicizia

Non sono qui per caso, no, sono qui per Hadj Mustapha.
Lo trovo dopo svariati minuti tra olive e menta, nascosto tra le bancarelle del souk. Da Hadj Mustapha si viene per la tanjia, il piatto tipico di Marrakech; considerato da sempre il piatto dell’amicizia, viene cucinato – secondo la tradizione – esclusivamente dagli uomini.
Agnello, cumino, Ras el Hanout (un mix di 20 spezie), zafferano, limone candito, burro e olio, vengono cotti per circa 6 ore in una tanjia – una giara di terracotta – sotto la cenere del forno a legna che scalda gli hammam. Superlativo. Emozionante.

Haj Mustapha è un’esperienza di autenticità: non aspettatevi tovaglie, non stupitevi del gatto accovacciato al vostro fianco, insomma, non formalizzatevi e iniziate da qui il vostro viaggio di gusto a Marrakech.
// Hadj Mustapha, Souk Ableuh

Vicolo del Mèchoui, street food d’arrosto

Agnello arrosto servito con pane, cumino e sale.
Restiamo nel Souk Ableuh per raggiungere il Vicolo del Mèchoui, un tripudio di bancherelle immerse nel pro-fumo d’arrosto. Scegliete la fetta più allettante, chiedetene un rubb (un quarto di chilo) o un nuss (mezzo chilo), nell’attesa acquistate qualche oliva d’accompagnamento e, appena pronto, godetevi il vostro mèchoui. Sì, in strada.
// Vicolo del Mèchoui, Souk Ableuh

Cous Cous in terrazza

Marocco fa rima con cous cous.
Accompagnato da carne e verdure – o solo verdure nella variante veg – viene cucinato nella tipica cuscussiera, una pentola di terracotta divisa in due parti: nella parte inferiore vengono cotte verdure e carne, in quella superiore la semola al vapore.

Nessuno dei miei viaggi in Nord Africa era riuscito a far scattare il colpo di fulmine, fino all’arrivo del cous cous del Souk Cafè, accompagnato da una sfiziosa serie di antipasti serviti in piccole tajine colorate. Scegliete di perdervi nel delicato sapore dei granelli di semola dall’alto della romantica terrazza panoramica, illuminata da candele e lanterne.
// Souk Cafè, 11 Derb Souk Jeldid | Sidi Abdelaziz

Tajine “fatta in casa”

Il suo nome deriva dal caratteristico piatto in terracotta in cui carne e verdure vengono cucinate, a fuoco basso, così da risultare tenere e aromatizzate. La tajine è attesa, condivisione, amore. Ho perso il conto delle tajine mangiate nel corso della mia vita, in particolare della tajine di pollo, limone e olive (mqualli) scoperta per caso in un piccolo paese del sud, Tafraout, a pochi chilometri da Agadir.
Per un buon mqualli e un ottimo mrouzia (agnello con prugne e mandorle) il nome da segnare è: Riad Lalla Bahia.

Ho pensato a lungo al nome da inserire in questa breve quanto sincera guida, ma il ricordo continua a volare ai caldi profumi speziati della cucina casalinga di questo elegante riad a 10 minuti da Jemaa El Fna. Ogni singola portata segue la stagionalità, l’offerta del mercato, le scelte della cuoca, rigorosamente marocchina. Un consiglio dalla duplice anima: se da una parte vi catapulta in un microcosmo di tinte pastello perfette per il vostro soggiorno a Marrakech, dall’altro vi dona una delle più pure esperienze di gusto da fare in città.
// Riad Lalla Bahia, 40 Derb Lalla Chacha Douar Graoua

Street food a Jemaa El Fna

Marrakech è street food. Ovunque.
Che siano bancherelle di mèchoui, spiedini di carne, lumache speziate, datteri e dolci ricoperti di miele. È al tramonto che Piazza Jemaa El Fna, il cuore pulsante della città, si trasforma in un ristorante a cielo aperto, unico nel suo genere. Qui si sceglie, si assaggia, si condivide il tavolo, ci si perde tra le spezie e nelle zuppe. Il mangiare diventa un atto corale, è unione, è immersione sensoriale.

Una sfilza infinita di banchetti, attaccati l’uno all’altro, propongono più o meno le stesse cose. Bisogna saper scegliere. Vi consiglio Aicha, la numero 1, per il katban (spiedini di carne aromatizzati con spezie); la numero 67 per assaggiare un’ottima harira, la zuppa simbolo dei 30 giorni di Ramadan; e, infine, il chiosco 32 di Hassan per una gustosissima salsiccia di vitello alle spezie (merguez).

È successo così, per caso.
Un baghrir caldo a colazione, un tè alla menta accompagnato da un corno di gazzella, uno spiedino oggi, una tajine domani. È stato così che si è creato quel filo, che quei sapori sono diventati parte di me. Esattamente come le orecchiette con le cime di rape, le olive nere fritte dell’autunno pugliese e i panzerotti dell’Immacolata. È stato così che ho deciso di ritornare in quella famosa, fumosa piazza e su quelle terrazze speziate non una, non due, non tre, ma ben quattro volte.
A ogni ritorno parto sempre da lì, da quel mare di olive colorate che sembrano non essersi mai mosse. E tutto ricomincia, con una tanjia e un tè alla menta.

Autore

Roberta Longo
Roberta Longo
Flâneur travestita da digital editor, appassionata di Medio Oriente e in fissa con lo street-food (meglio se fritto). Nata sotto il segno dei pesci, nomade e un po' bohémien, credo nella felicità da vino rosso, all'inutilità delle frontiere e al sogno di un chiringuito in spiaggia sull'isola di Huahine.